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Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone” scriveva John Steinbeck. Così lasciandomi alle spalle il pregiudizio ho intrapreso il mio. Ho guidato più di 5 mila chilometri, visto 21 albe e 21 cieli stellati.
Ho visto moderne cattedrali nel deserto, stazioni di servizio e insegne di fast food che ho bramato come oasi e terre promesse. Ho visto i luoghi dove Kerouac ha scritto Big Sur (1962), camminato con lui sul Bixby Bridge nelle sue crisi d’astinenza.
Ho visto rosso arenaria tra le onde orizzontali dell’Antelope Canyon, assistito alle performance dei Navajo in abiti tradizionali intravedendo shorts Nike sotto le gonne di paglia. Sono sceso dall’auto appoggiando i piedi sui terreni che sudano memoria del sangue dei nativi cacciati e confinati nelle riserve. Ho sentito le melodie di Ennio Morricone riecheggiare nella Monument Valley, dove letteratura e cinema si confondono con la storia della conquista del West.
Ho dormito in un ranch a 10 miglia dal Grand Canyon dove un cowboy ha acceso il fuoco, cantato con armonica e chitarra melodie di una latitudine a me sconosciuta. Mi sono spostato ancora: nella “città degli angeli” ho goduto del panorama di Hollywood dal Griffith Observatory dove sono state girate scene indimenticabili di La La Land e Gioventù Bruciata.
All’hotel Roosevelt ho bagnato la punta delle dita, come in un’acquasantiera, nella piscina con il fondale dipinto del maestro David Hockney. E in silenzio, nelle hall degli hotel, in macchina e sui tavolini dei ristoranti, ho testimoniato. Ho aperto il mio perimetro e fatto entrare i colori e le morfologie nuove attraverso il disegno, trasformando il ricordo in cartoline. E poi sono tornato a casa.