Global site tag (gtag.js) - Google Analytics
“Una vita a colori” di Matteo Bianchi Emiliano Ponzi è considerato uno dei migliori illustratori della sua generazione. L’audacia delle forme realizzate attraverso un uso giudizioso della linea e di metafore originali gli ha permesso di fare della sua vocazione la sua vita. Quando ha scoperto la vena artistica? «Da piccolo. Prima disegnavo per piacere e dopo il liceo sono venuto a Milano all’Istituto Europeo di Design per acquisire gli strumenti che mi servivano». Il lavoro l’ha spinta a rinunciare a una parte di sé? «Per fortuna la risposta è no. Lavorando con uno stile che mi identifica, la mia poetica non ne ha risentito e continua a evolvere. Il lavoro non è una diminutio, ma l’opportunità di mettere in pratica ciò che vedo intorno a me». Perciò il pop imperante influenza il suo tratto? «Non lo determina, ma mi induce a delle accortezze. Un esempio pratico: mi hanno chiesto di rappresentare la serie tv Stranger Things per The New Yorker, quindi ho dovuto studiare l’ambientazione e i particolari di scena per restituire quello che era la “temperatura” sullo schermo». Si sente più illustratore o più artista? «Non so dove sia il confine tra i due. L’artista magari lavora per una galleria, mentre l’illustratore ha un fine che precede la manifestazione tout court della propria personalità. Quel- lo che l’artista può permettersi è di non farsi capire. Si tratta sempre di un compromesso». Qualche ora della sua giornata è rimasta bohémien? «Tutt’altro, è molto disciplinata. Mi sveglio presto e con le prime luci sono già in studio per rispettare le scadenze. La routine aiuta a non perdersi nelle troppe idee che scaturiscono senza riuscire a portarle a termine». L’arte necessita di tempo e cura. «La materia viva e incandescente puoi controllarla solo se la conosci a fondo. Si riduce progressivamente la distanza tra l’idea in testa e quello che produci, come lo scalpello su un blocco di marmo finché non raggiunge l’aspetto che ti convince».