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La scienza della resurrezione
«Ho solo 14 anni e non voglio morire», ha scritto al giudice una ragazza britannica malata terminale. Ed è per questo che ha chiesto di essere crioconservata. Sottoposta cioè a un processo che, abbassando dopo la morte la temperatura corporea a -196°C, blocca la decomposizione. Per un tempo indeterminato. O almeno fino a quando la scienza sarà in grado di “scongelarla”, riportandola in vita e curandone la malattia.
Dalla fine degli anni Sessanta sono ormai quasi quattrocento i casi di coloro che in tutto il mondo hanno consegnato i propri corpi a gelidi cimiteri tecnologici, distribuiti tra Stati Uniti e Russia. Ad essersi «addormentati nella speranza della resurrezione», come si sente recitare durante la messa. Una resurrezione tutta laica, scientifica, o meglio fantascientifica, visto che non si sa se quei cadaveri potranno mai risvegliarsi.
Ma di una vera e propria resurrezione si tratterebbe, se ci si riuscisse. E questo, nonostante le nuove definizioni di morte che, per mitigare i dilemmi etici, trovano ospitalità sul sito di qualcuno di quei cimiteri sottozero. L’operazione può infatti essere condotta solo su soggetti, come si legge, «legalmente morti», vale a dire, come già alla fine degli anni Sessanta indicava il comitato ah hoc della Harvard Medical School, su individui di cui si sia registrata la «perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo». Occorre dare il giusto nome alle cose: non si sospende la vita, quindi, ma si conserva un cadavere, a cui si auspica di resuscitare. «Tutti vogliono possedere la fine del mondo», spiega il magnate Ross Lockhart, uno dei protagonisti di Zero K, l’ultimo romanzo di Don De Lillo, dedicato proprio alla criogenia umana. «Siamo nati senza sceglierlo. Dovremmo morire nello stesso modo?».